Meglio l’intelligenza artificiale o quella umana? Parliamone.

by Nov 29, 2018Intelligenza Artificiale

Ognuno di noi ha a che fare, magari in misura ridotta e inconsapevolmente, con l’intelligenza artificiale ogni giorno: usando il proprio smartphone, navigando con Google, o utilizzando Facebook per connettersi con il mondo.
L’AI (Artificial Intelligence) è ormai uscita dal mondo della ricerca tecnologica per approdare alla vita quotidiana, ed essere alla portata di consumatori e cittadini e non solo di aziende.
Questa premessa poteva apparirci inverosimile, almeno in Italia fino a venti o trenta anni fa: l’utilizzo massiccio della tecnologia applicata in ambito business stava diventando un dato di fatto ma che un qualcosa di “artificiale” o “robotico” potesse permeare la vita personale e quotidiana, di lì a pochi anni, restava ancora nebuloso, se non agli addetti ai lavori, almeno all’uomo della strada.
Quale è la direzione in cui stiamo andando, oggi? E cosa succederà domani? L’intelligenza artificiale sarà così pervasiva da sostituirsi a quella umana? Interrogativi legittimi ai quali, a più livelli, provano a dare risposte studiosi ed esperti di settore, attraverso statistiche e previsioni.

Intelligenza artificiale: debole e forte

Intanto cerchiamo di capirne di più. Cosa si intende per Intelligenza Artificiale?
In maniera intuitiva e semplice, potremmo definirla come la capacità di un complesso sistema tecnologico di risolvere problemi, eseguire compiti e svolgere attività tipiche dell’uomo e delle sue abilità cognitive.
Ciò detto l’AI dovrebbe poter pensare ed agire “umanamente” e allo stesso tempo farlo “razionalmente”, sfruttando perciò la logica, come fa un essere umano, e avviando un processo per ottenere il miglior risultato atteso, in base alle informazioni a disposizione. Cosa che un essere umano, spesso anche inconsciamente, fa d’abitudine.
La comunità scientifica distingue anche tra una AI “debole” e una “forte”: quest’ultima supera la prima per la capacità di essere “sistema sapiente” in grado di sviluppare un’intelligenza “propria e autonoma”, senza emulare processi di pensiero o abilità cognitive simili all’uomo. Si arriva a parlare di intelligenza “cosciente di sé”.

Le fasi dell’AI

Ma come funziona l’intelligenza artificiale? Quali sono le fasi del suo processo?
Se ne possono individuare quattro. Si parte dalla fase della “comprensione”, grazie alla quale è in grado di riconoscere testi, immagini, tabelle, video, voce ed estrapolarne di conseguenza una molteplicità di informazioni. Poi si passa al “ragionamento” che attraverso la logica e specifici algoritmi matematici riesce a collegare le informazioni raccolte. Il passaggio successivo è l’“apprendimento”, ovvero l’analisi degli input dei dati per la loro restituzione corretta in output. Ultimo step, infine, l’interazione con l’essere umano.

Intelligenza artificiale e marketing: la coppia vincente

L’applicazione dell’AI nell’ambito del marketing strategico e della gestione della relazione con gli utenti sta alcuni anni dimostrando la sua massima potenzialità.
I chatbot, ad esempio, sono gli assistenti virtuali e vocali che migliorano i servizi di assistenza e supporto delle aziende e dei brand con cui interagiamo ogni giorno (per prenotare un treno o effettuare un acquisto di un bene).
Siri di Apple, Cortana di Microsoft e Alexa di Amazon sfruttano l’Intelligenza Artificiale non solo per il riconoscimento del linguaggio naturale ma anche per l’apprendimento e l’analisi delle abitudini e dei comportamenti degli utenti. L’analisi del “sentiment” in tempo reale di grandi moli di dati va ad incidere sull’esperienza dell’utente: grazie all’Intelligenza artificiale, ogni comportamento umano in rete, come consumatore di beni e servizi, diventa fondamentale per guidare le strategie di comunicazione di molti brand ed aziende ed influenzare gli acquisti.

La connessione tra umano e artificiale

Lungi dal deplorare l’avanzamento tecnologico che ci ha condotto fino ai risultati odierni, la proposta che giunge da più parti per districarsi e convivere con la nuova realtà delle cose è quella per un approccio (non solo intellettuale) che metta in connessione e non in contrapposizione l’umano col virtuale.
L’intelligenza artificiale, e la tecnologia che ne scaturisce, dovrebbe amplificare ed estendere le capacità umane, non eliminarle oppure lavorare a prescindere da queste. Ci si potrebbe orientare per un punto di vista che individui l’AI più come “complice” che non come “sostituto”, così da poter svolgere task molto difficili e in minor tempo.
Un esempio tangibile può essere ritrovato nell’applicazione dell’AI ai chatbot: i casi di maggiore successo sono quelli dove l’intelligenza umana viene potenziata da quella artificiale invece di pretendere di sostituirla risultando inefficace laddove sono richieste risposte complesse, non ancora gestibili da una macchina.
La collaborazione tra uomo e macchina, pertanto, va già nella direzione di un più alto tasso di successo negli ambiti di applicazione più svariati.
Prendiamo il caso del team di Harvard (Fjords Trends 2018 Report) che ha calcolato l’attendibilità della diagnosi di cancro al 92% nel caso di un’elaborazione compiuta dalla sola intelligenza artificiale, rispetto a quella del 96% del solo team medico specializzato. Si è visto come unendo entrambe le capacità cognitive si possa arrivare ad un risultato diagnostico complessivo del 99,5%.
L’applicazione dell’AI alla salute e alla ricerca medica, come rivela anche l’ultimo studio Chorally, è percepita in maniera positiva dal 71% degli italiani* rispetto ad una considerazione meno positiva, se si parla di lavoro (14%).
A sfatare in parte il timore che l’AI diminuisca i posti di lavoro, i dati degli Osservatori del Politecnico di Milano dichiarano che automatizzare al 100% un lavoro è possibile soltanto in meno del 5% dei lavori. Tuttavia, il 60% dei lavori possono essere ottimizzati per il 30%. Laddove c’è ripetitività si inseriscono facilmente le macchine e l’intelligenza artificiale: con risparmio di tempo, denaro e diversificazione delle competenze umane ed impiego a mansioni “umane” più strategiche, potremmo aggiungere.
Molti ancora gli interrogativi che restano aperti sul difficile binomio artificiale e umano. L’uomo non può più fare a meno della tecnologia oggi, ma anche la “macchina” continuerà, per necessità, a servirsi delle capacità cognitive dell’essere umano. Davvero un’equazione difficile da risolvere?
Forse sì, se come sostiene Hakwan Lau, neuroscienziato dell’Università di California “capire come colmare il divario tra l’intelligenza umana e quella artificiale sarebbe come trovare il Santo Graal.”

*Campione di 56.000 conversazioni, 20.000 utenti unici raccolti su Social Media e Web (aprile – settembre 2018)