Il customer journey moderno non è più un percorso lineare e prevedibile, ma un ecosistema complesso e frammentato di interazioni che si svolgono 24 ore su 24, tutti i giorni, attraverso una moltitudine di canali digitali e fisici. In questo scenario così dinamico, le aziende si trovano di fronte a una sfida complicata: come garantire un’assistenza coerente, immediata e profondamente personalizzata in ogni singolo punto di contatto? La risposta, sempre più strategica, risiede nell’implementazione intelligente dei chatbot.

Lungi dall’essere semplici risponditori automatici, i chatbot evoluti si sono trasformati in potenti orchestratori dell’esperienza cliente. Se progettati e integrati con cura, sono in grado di mappare, supportare e ottimizzare l’intero percorso del cliente, trasformando potenziali punti di attrito in preziose opportunità di engagement e fidelizzazione. Un chatbot non è più solo uno strumento per deviare le richieste dal contact center, ma un asset strategico per costruire relazioni di valore, fin dal primo momento.

Mappare l’uso del Chatbot durante tutto il Customer Journey

Tradizionalmente, i Customer Journey viene suddiviso in fasi distinte: Consapevolezza (Awareness), quando un potenziale cliente scopre un brand; Considerazione (Consideration), in cui valuta diverse opzioni; Acquisto (Purchase), il momento della transazione; Servizio (Service), che copre l’assistenza post-vendita; e infine Fidelizzazione (Loyalty), quando il cliente diventa un sostenitore del brand. Il ruolo di un chatbot implementato con intelligenza è quello di intervenire in modo proattivo e pertinente in ognuna di queste fasi, agendo come un assistente versatile e sempre disponibile.

Nella fase iniziale di Consapevolezza e Considerazione, il chatbot agisce come un ambasciatore del brand. Può accogliere i visitatori di un sito web, rispondere alle loro domande iniziali su prodotti o servizi e agire da guida personalizzata. I chatbot aiutano immensamente anche nel qualificare i lead in tempo reale, specialmente in ambienti B2B. Un chatbot su un sito di software as a service (SaaS), ad esempio, può avviare una conversazione per capire le esigenze del visitatore e indirizzarlo verso il piano più adatto, aumentando significativamente i tassi di conversione proprio perché intercetta l’interesse dell’utente nel momento esatto in cui si manifesta.

Quando il cliente si sposta verso la fase di Acquisto, il chatbot diventa un alleato straordinario per abbattere l’abbandono del carrello. Può intervenire per rispondere a domande dell’ultimo minuto su spedizioni, metodi di pagamento o politiche di reso. Un e-commerce può inoltre programmare il proprio chatbot per offrire un piccolo sconto o la spedizione gratuita a un utente che esita troppo a lungo sulla pagina di checkout, fornendo quella spinta finale necessaria per completare l’acquisto.

È nella fase di Servizio e Onboarding che il chatbot svolge il suo ruolo più classico, ma non per questo meno importante. Fornire un supporto immediato post-vendita è fondamentale, non solo per aumentare le possibilità di costruire una relazione duratura con il cliente, ma anche per migliorare la reputazione online del brand. 

Infine, nella fase di Fidelizzazione, il chatbot si trasforma in uno strumento proattivo di relazione. Può essere programmato per contattare il cliente dopo un certo periodo dall’acquisto per chiedere un feedback o proporre un sondaggio di soddisfazione. Chorally offre la possibilità di creare Survey Bots che rendono la raccolta di feedback un’esperienza conversazionale e coinvolgente. Immaginiamo un chatbot che, un mese dopo la vendita di una macchina da caffè, chiede al cliente: “Come si sta trovando con la sua nuova macchina? Sapeva che abbiamo appena lanciato una selezione di capsule biologiche compatibili?”. Questo tipo di interazione non solo favorisce nuovi acquisti, ma fa sentire il cliente ascoltato e curato.

Come generare valore col tuo chatbot durante tutta il Customer Journey

L’efficacia di un chatbot nel customer journey non deriva dalla sua mera presenza, ma da un’implementazione strategica e ponderata. Esistono diverse best practice che possono fare la differenza tra un assistente virtuale utile e uno che finirà dimenticato dopo il primo quadrimestre.

Innanzitutto, è fondamentale definire obiettivi chiari e misurabili. Prima ancora di ipotizzare un dialogo animato dal chatbot, è necessario chiedersi: “Quale problema specifico vogliamo che questo chatbot risolva?”. Che l’obiettivo sia generare più lead o migliorare il Net Promoter Score (NPS), un traguardo chiaro guida l’intero processo di progettazione e definisce le metriche con cui misurarne il successo.

Successivamente, è indispensabile mappare meticolosamente i flussi di conversazione. Non si tratta semplicemente di “accendere” il chatbot, ma di progettare i percorsi di dialogo basandosi sugli intenti più comuni degli utenti. Un altro aspetto cruciale è la creazione di una personalità (persona) definita e coerente. Un chatbot dovrebbe avere un nome e un tono di voce allineati con l’identità del brand; uno scollamento eccessivo fra il modo in cui si esprime il customer service e il chatbot potrebbe portare a risultati assai inferiori alle aspettative.

Forse la best practice più importante è garantire un passaggio di consegne fluido e trasparente a un operatore umano. Come sottolineato da esperti di user experience come il Nielsen Norman Group in vari articoli sul design delle interfacce conversazionali, un chatbot deve sempre offrire una via d’uscita. Non solo, deve essere in grado di riconoscere i propri limiti e offrire una transizione semplice a un agente umano. Chorally offre funzionalità potenziate dall’AI che assicurano che il contesto della conversazione venga trasferito all’operatore per evitare che il cliente debba ripetere tutto da capo.

Infine, ricordiamo che è fondamentale, per risultati duraturi nel tempo, analizzare costantemente le interazioni reali per migliorare il flusso di dialogo, le risposte e le opzioni a disposizione dell’utente. Piattaforme di gestione delle interazioni come Chorally forniscono gli strumenti analitici per monitorare queste performance, analizzare le conversazioni fallite e guidare il processo di ottimizzazione.

Quali sono gli errori comuni da evitare?

Se un chatbot funzionante e funzionale può migliorare sensibilmente il customer journey, uno progettato male può danneggiarlo. Esistono alcuni errori ricorrenti che è bene evitare fin da subito.

Il primo e più grave è la mancanza di personalizzazione. Un chatbot che offre la stessa esperienza a ogni utente è destinato a fallire. Un assistente virtuale efficace dovrebbe sfruttare i dati a sua disposizione per personalizzare il dialogo. Un cliente fedele dovrebbe essere accolto in modo diverso rispetto a un nuovo visitatore. Fortunatamente molti chatbot ora sono veri e propri assistenti virtuali grazie alla IA, eliminando così il rischio di esperienze che suonino macchinose e rigide.

Un altro errore comune, ma imperdonabile, è fornire risposte vaghe o inutili, se non proprio errate. Un chatbot che risponde costantemente con “Spiacente, non ho capito la tua richiesta” è una fonte di immensa frustrazione. Come indicano numerosi studi, tra cui un’analisi di Forrester che evidenzia come il 42% dei clienti statunitensi abbandoni una sessione online per frustrazione, questo tipo di interazione negativa è peggio che non avere alcun chatbot. Dimostra una mancanza di cura nella progettazione e può allontanare un cliente per sempre.

Altrettanto dannoso è nascondere o rendere difficile il contatto con un essere umano. Intrappolare un utente in un “loop conversazionale” senza una chiara via d’uscita per parlare con un operatore è una delle pratiche peggiori. La possibilità di essere trasferiti a un agente umano non deve essere un’opzione nascosta, ma un’alternativa sempre presente e accessibile, specialmente quando il chatbot rileva un’escalation della frustrazione dell’utente. Si può pensare di farlo per aumentare la deflection, ma semplicemente gli utenti contatteranno gli operatori umani in un altro modo, ma con un umore ben peggiore.

Infine, è un errore comune promettere capacità che il chatbot non possiede. È meglio gestire le aspettative fin dall’inizio con un semplice messaggio di benvenuto come: “Ciao, sono l’assistente virtuale di [Nome Brand]. Posso aiutarti a tracciare il tuo ordine, a conoscere i nostri orari o a trovare il prodotto perfetto per te. Se hai bisogno di aiuto per altro, posso metterti in contatto con il mio collega umano”. Questa trasparenza, come indicato dalle linee guida sulla User Experience di Google per la progettazione di chatbot, costruisce fiducia e previene l’insoddisfazione.

Il Chatbot è l’alleato perfetto di una buona Esperienza Cliente

In conclusione, il chatbot non è più un semplice accessorio tecnologico, ma un asset strategico fondamentale per l’architettura di un customer journey moderno, connesso e soddisfacente. La sua capacità di offrire supporto personalizzato, immediato e contestuale in ogni fase del percorso del cliente lo rende uno strumento insostituibile per le aziende che aspirano all’eccellenza nell’esperienza offerta.

Il successo, tuttavia, non è automatico. Dipende da un approccio incentrato sull’utente, da obiettivi chiari, da una progettazione meticolosa, da un impegno costante nel miglioramento e, soprattutto, dalla ricerca del perfetto equilibrio tra l’efficienza dell’automazione e il valore insostituibile del tocco umano. Le aziende che sapranno interpretare il chatbot non come un sostituto dell’uomo, ma come un suo potente alleato, saranno quelle che costruiranno le relazioni più forti e durature con i propri clienti, trasformando ogni interazione in un’opportunità di crescita.

Seguici su

Chorally è un brand