Abbiamo intervistato Francesco Costa, Vice Direttore de “Il Post”, uscito in libreria lo scorso 28 gennaio per Mondadori con “Questa è l’America. Storie per capire il presente degli Stati Uniti e il nostro futuro”.

Francesco Costa

Una laurea in Scienze Politiche e una strana passione per le campagne elettorali, i film incomprensibili, gli hamburger e una ancora più strana per la Roma.

Ha scritto per l’Unità, Internazionale e IL del Sole 24 Ore, ogni tanto conduce Prima Pagina su Radio 3. Insegna giornalismo alla Scuola Holden. Il suo blog esiste dal 2007.

Nel 2016 ha vinto il Premio Internazionale Spotorno “Nuovo Giornalismo”. 

Nel 2018 il premio della Festa della Rete per il miglior podcast italiano. Ovvero, “Da Costa a Costa”, un podcast “indipendente” sulla politica statunitense, curato e realizzato da solo, e finanziato spontaneamente da lettori e ascoltatori con più di 40.000 euro, che lo ha portato a viaggiare più volte negli Stati Uniti per raccontare l’elezione di Trump – dall’Ohio alla Pennsylvania, dall’Iowa al Michigan, dal Texas alla California – e a collaborare con Rai Tre per la scrittura dei documentari “La Casa Bianca”.

Benvenuto Francesco Costa.

Partendo dall’America (dove hai seguito la prima elezione di Obama nel 2008 e fino ad oggi l’hai girata e studiata per raccontarcela) come hai visto modificare la relazione dei media quelli tradizionali e online rispetto ai social?

La prima elezione di Obama nel 2008 è stata quella in cui i social network hanno avuto un ruolo, anche se piccolo, perché Facebook e Twitter erano nati da poco. Ma i social sono stati usati per mobilitare gli attivisti e i volontari della campagna elettorale, per diffondere i contenuti del programma elettorale e anche per raccogliere i fondi.

E’ nel 2012 che ci sono state le “vere” elezioni dei Social Media, sfruttati non solo nel far girare il messaggio del candidato ma anche per condizionare e dettare l’agenda mediatica alla stampa tradizionale.

Nel 2016 è stato fatto ancora un passo avanti (pensiamo al ruolo del profilo twitter di Trump), e i social hanno condizionato la campagna con le fake news. Da quel momento in poi si è capito che è necessario avere un approccio serio all’analisi dei contenuti sui social network.

Appunto. Notizie false, “box morbosi” attira-click, espressioni abusate: è la crisi dei giornali o la crisi del giornalismo?

Si accusa molto il web e i social di produrre notizie false, ma il problema delle fake news riguarda in primo luogo i giornalisti e la stampa tradizionale, ci sono fake news che circolano a partire da questa parte, che ha perso consapevolezza.

Esistono due modelli di business in crisi: i giornali, che non vendono più (e la pubblicità non rende più come prima) e i giornalisti che non verificano più la notizia dando priorità alla velocità di pubblicazione più che alla qualità dell’informazione.. Queste due crisi si sono intrecciate tra loro e hanno prodotto il contesto attuale, molto orientato alla lotta al click per acchiappare l’attenzione dei lettori.

Chi sono oggi i competitors de “Il Post”?

I nostri competitors non sono gli altri giornali online, come si potrebbe pensare. Il 70% dei nostri lettori ci legge dallo smartphone. E quindi noi competiamo con le altre app del telefonino, le piattaforme social, le app di giochi, musica, serie tv, etc. Una concorrenza molto più ampia e forte.

Parliamo dell’utilizzo di Instagram da parte del vostro giornale: raccontare una notizia con una fotografia. Come gestite questa piattaforma?

Oggi è il giornale ad andare dalle persone e quindi deve essere presente dove sono le persone, quindi sui social. Il pubblico sta lì. Il nostro obiettivo è offrire notizie ma anche informazioni per capire di più.

Se sei su Instagram devi mettere al centro l’immagine, le fotografie di qualità su cui puntiamo molto (anche con costi). Una foto come gancio per portare poi il lettore ad andare oltre l’immagine. E informarsi.

Ci racconti un po’ l’idea del tuo libro “Questa è L’America” da poco uscito per Mondadori?

Il libro è un viaggio che ci porta in luoghi in cui non saremmo andati. Gli Stati Uniti sono un paese grande e frastagliato, geograficamente e culturalmente. Noi visitiamo le città (New York, San Francisco, Los Angeles) qualche parco e al massimo facciamo la road 66, andiamo lì e non in altri posti, che però contengono tante storie. C’è quindi un divario di conoscenza tra quello che sappiamo e quello che è la realtà di questo paese, che non capiamo, e allora ricorriamo a luoghi comuni. 

Il tentativo è di andare oltre sulla base dei viaggi che ho fatto, dello studio, delle letture in posti non battuti dai turisti. Cerco di raccontare l’America, e del momento che attraversa in questi anni perché tanta parte di essa (le abitudini di consumo, l’economia, la politica, etc.) entra prepotentemente nelle nostre vite.

Quali sono i tool che usi abitualmente? E quali invece quelli che un bravo giornalista dovrebbe saper usare?

… Continua ad ascoltare l’intervista a Francesco Costa, cliccando qui.